www.canavesano.org

vert.gif

 

 

Dalla parte 2.: «Note storico-linguistiche» - cap. 2.: «Dal latino al piemontese» - par. 5.:

Trasformazioni morfologiche:
forme pronominali soggettive

 

In questa pagina del saggio affronto l'argomento dei cosiddetti «pronomi verbali», che io considero forme pronominali soggettive, o sia pronomi soggetto. (Già nel saggio dedicato al montalenghese considerai questi pronomi come soggetto e non un misterioso accessorio del verbo che non si sa come classificare, e allo stesso tempo chiamai pronomi oggetto «mi, ti» eccetera, anche se sono spesso usati come rafforzamento della forma soggettiva.)

Abbreviazioni: l = latino (classico); lt = latino tardo; p = piemontese (medio).

Forme pronominali soggettive proclitiche appaiono presto nei volgari galloitalici, ma anche in vari altri vernacoli, come quelli veneti e toscani, con forme particolarmente erose. Per la prima persona singolare si veda, ad esempio: in un sonetto di Cecco Angiolieri, citato dal Rohlfs, «i l’appello ben per madre mia»; in Dante «che è quel ch’i’ odo?»; ma anche in Montale «i’ vo’ parlare con seco». Negli antichi dialetti settentrionali troviamo piuttosto «e» (< lt eo < l ego, come visto sopra). Altro esempio tratto dal Rohlfs, il piemontese «e som arivà a tal porto». Nei dialetti moderni citati sopra, troviamo tutte forme monosillabiche (si trova spesso «a», da un precedente «ia»), che all’occorrenza sono rafforzate dalla forma tonica del pronome complemento. Naturalmente, anche le altre forme personali seguono analoga sorte. Sia nei toscani che nei settentrionali, il «tu» , ad esempio, diventa atono e spesso si riduce a semplice «t». Nei primi, ancora oggi, si hanno forme del tipo «te tu» ma più spesso atone come «te t», mentre nei secondi si hanno forme, ugualmente atone e rafforzate dal pronome complemento, t/ti/it/a ecc. Queste forme, come vedremo durante la descrizione della koiné, vengono chiamate dai piemontesisti «pronomi personali verbali», dato che precedono il verbo, anche quando il soggetto è espresso, così come sono chiamati tanto pronomi personali soggetto quanto complemento quelli che per loro natura appartengono alla seconda specie, pur se usati come rafforzativo (come succede in francese) e se usati, in alcune forme dialettati, da soli, passando dall’estrema lenizione della forma soggettiva al dileguo («mi son», «lu ga»). La presenza regolare del soggetto davanti al verbo compensa la perdita di desinenze distinte (come successe al francese e verosimilmente per l’azione del substrato morfologico celto-gallico, che doveva avere forme analoghe). In toscano, e quindi in italiano, il pronome soggetto è superfluo e non viene usato (nel toscano vernacolare e storico il suo uso, visto sopra, è un’influenza settentrionale). In italiano si esprime il pronome soggetto solo per dare enfasi alla frase. Nel piemontese letterario spesso si omette per motivi di metrica o per semplicità. In piemontese l’uso della forma pronominale complemento si aggiunge per dare enfasi, un po’ come si aggiunge il pronome soggetto in italiano: «mi i son piemontèis» equivale pressappoco all’italiano «io sono piemontese». Nelle parlate settentrionali il clitico da solo serve per le forme impersonali, come in p. a pieuv, a fa neuit. Mi sono permesso di dilungarmi su questo argomento per farvi chiarezza, con l’aiuto dell’autorevole studioso citato.

 

vert.gif